L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è una tecnica innovativa ideata da Francine Shapiro, oggi largamente utilizzata per la risoluzione dei traumi psicologici.
Questa metodologia fu introdotta nel 1989 con dei primi studi controllati che valutavano gli effetti di una sessione di trattamento con veterani di guerra o persone che avevano subito abusi sessuali (Shapiro, 1995) e si è da subito dimostrata efficace nell’alleviare lo stress e i sintomi associati ai ricordi traumatici. Infatti, l’EMDR è rivolta al trattamento di pazienti che presentano una condizione generale di distress psicologico dovuta a un evento traumatico, recente o remoto, particolarmente rilevante a livello emotivo (Scalingi, 2016, 11).
Presupposto teorico dell’EMDR è che qualunque reazione disfunzionale attuale sia sempre il risultato di un’esperienza precedente e non necessariamente infantile ed il lavoro si concentra sul ricordo traumatico, su come l’individuo interpreta le informazioni ad esso connesse e su tutte le sue componenti soggettive con particolare attenzione all’emotività ed alla conseguente reattività a stimoli semanticamente simili al ricordo originario (Simonetta, 2010).
Poggiando le sue basi teoriche sul sistema intrinseco di elaborazione delle informazioni e sui meccanismi d’immagazzinamento della memoria, la metodologia dell’EMDR si basa sulla stimolazione, da parte del terapeuta, di specifiche forme sensoriali del paziente (Scalingi, 2016, 13-14). A tal riguardo, i movimenti oculari sono una stimolazione bilaterale alternata dove viene richiesto al paziente di rievocare l’immagine più disturbante dell’esperienza traumatica e le proprie convinzioni negative, localizzando il disturbo emotivo a livello corporeo, mentre il terapeuta propone uno stimolo esterno (ibidem).
Il lavoro con EMDR, focalizzandosi quindi sul ricordo disturbante mantenuto in memoria in modo non funzionale per riattivarne e completarne l’elaborazione interrotta, permette all’insieme delle convinzioni negative, delle emozioni e delle sensazioni corporee che erano rimaste in forma implicita nel cervello di essere esplicitate, rese consapevoli e integrabili con l’intero sistema, generando un’esperienza integrata in uno schema emotivo e cognitivo positivo (Fernandez, 2012). Pertanto, in seguito al trattamento con EMDR gli stessi ricordi, si presentano con immagini meno disturbanti, con pensieri più positivi e con un’emotività adeguata (Arnone, Orrico, D’Aquino, Di Munzio, 2012).
Il trattamento dell’EMDR prevede l’attuazione di specifiche fasi:
Prima fase: la storia del paziente. In questa fase, viene osservata l’idoneità psico-fisica della persona ad essere sottoposta alle sedute e la sua capacità nel gestire situazioni sfavorevoli. Infatti, il riaffiorare del ricordo o delle immagini connesse potrebbe far emergere sensazioni fisiche o emozioni associate spiacevoli, e questo potrebbe portare a una ri-traumatizzazione. In questa fase iniziale avviene inoltre la valutazione dello stile di attaccamento che fornisce informazioni importanti circa le modalità relazionali e il grado di predisposizione dell’individuo alla patologia (Shapiro, 2001). Nel caso in cui la persona fosse ritenuta idonea alla metodologia dell’EMDR, il terapeuta inizierà la raccolta dei dati anamnestici per comprendere la storia del problema, la causa primaria e la gravità.
Seconda fase: preparazione. In questa fase è spiegato al paziente in cosa consiste il trattamento con EMDR, fornendo alcune informazioni circa i movimenti oculari e il loro riscontro empirico; dare informazioni accurate favorisce il grado di controllo del paziente su ciò che affronterà, ponendolo in una condizione di sicurezza e protezione (Scalingi, 2016, 22-23). Un ulteriore fattore protettivo per il paziente è fornito dall’identificazione di un “luogo sicuro” in cui lui stesso crea nella propria immaginazione un posto positivo utile per la gestione di materiale disturbante emerso durante la seduta (ibidem).
Terza fase: assessment. Il professionista EMDR inizia insieme al paziente l’analisi di tutte le componenti emotive, cognitive, sensoriali e fisiche del ricordo target selezionato, consapevole del forte impatto che queste possono avere (Shapiro, 1995; Scalingi, 2016). Al paziente è chiesto di esprimere il maggior numero di elementi connessi al ricordo traumatico che sarà elaborato in seguito. La determinazione delle componenti segue un iter preciso e questo aiuta il terapeuta a monitorare i cambiamenti progressivi nella codifica delle informazioni.
Come punto di partenza è chiesto al paziente di scegliere un’immagine che rappresenti l’intero evento, per poi giungere all’identificazione della cognizione negativa (Scalingi, 2016, 23).
Come mostrato anche dalla Shapiro (1995, 2001), l’uso della cognizione negativa aiuta a far emergere alla consapevolezza del paziente la sua irrazionalità nel dare giudizi a se stesso; in modo analogo, gli è chiesto di esprimere una convinzione positiva desiderata su di sé affinché giunga progressivamente ad incorporare una sensazione di autovalutazione, sviluppando un’alternativa valida alle cognizioni negative (Shapiro, 2001). L’autrice afferma come sia necessario, una volta determinata la cognizione positiva, chiedere alla persona di determinare quanto è vera in quel momento quella cognizione, tenendo a mente l’evento originario di partenza, attraverso la scala VOC (Validità della Cognizione). Il paziente dovrà anche definire, attraverso la scala SUD (Unità Soggettiva di Disturbo), il tipo di emozione provata e stabilire il grado di disturbo che gli provoca (Scalingi, 2016, 24). Strettamente legato all’emozione esperita dal paziente è il manifestarsi di sensazioni fisiche connesse; infatti, la richiesta di localizzazione delle sensazioni fisiche sembra agevolare ulteriormente l’elaborazione, liberando il paziente dall’immagine dolorosa o dalle connotazioni negative (ibidem).
Quarta fase: desensibilizzazione. Affinché l’elaborazione avvenga in modo efficiente, il terapeuta deve sottolineare al paziente l’importanza di riferire qualsiasi informazione emergente durante il processo (Scalingi, 2016, 25).
Al termine della stimolazione sensoriale attraverso i movimenti oculari, viene chiesto al paziente di chiudere gli occhi e fare un respiro profondo, permettendo così lo spostamento dell’attenzione, il riposo e la preparazione per la successiva verbalizzazione (ibidem). La quarta fase si conclude quando il disturbo emotivo del paziente registrato con la scala SUD è pari a 0 o a 1 (Shapiro, 2001). Una volta elaborati tutti gli elementi associati al target di partenza, si chiede al paziente di ritornare all’evento target originale. Quando il coinvolgimento emotivo è notevolmente ridotto o eliminato al punto di essere riportato a un SUD pari a 0 o a 1, ciò indica la corretta desensibilizzazione del target e la possibilità di procedere alla ristrutturazione cognitiva delle cognizioni disfunzionali nella fase di installazione (Scalingi, 2016, 26).
Quinta fase: installazione. In questa fase, il lavoro si concentra sulla cognizione positiva e sul cambiamento di prospettiva riguardo il rapporto tra il sé e l’evento (ibidem). Il terapeuta chiede al paziente di valutare l’adeguatezza della cognizione positiva scelta durante la fase di assessment e lo guida nell’identificazione della cognizione positiva più significativa in quel momento, chiedendo di valutarla con la scala VOC (Shapiro, 1995, 2001). I movimenti oculari continueranno finché non sarà raggiunto dal paziente il livello massimo di VOC (indicatore di benessere soggettivo).
Sesta fase: scansione corporea. In questa fase, il terapeuta chiede al paziente di ripensare all’evento traumatico, alle convinzioni positive su di sé e di ripercorrere tutto il suo corpo per verificare se ci sono ancora delle tensioni o delle sensazioni disturbanti a livello fisico (Scalingi, 2016, 26). Nel caso in cui ci siano sensazioni fisiche particolari, si procede nuovamente con la stimolazione bilaterale, fino alla loro scomparsa (ibidem). Questa fase può definirsi conclusa quando è in grado di esplorare mentalmente il proprio corpo senza esperire tensioni (Shapiro, 2001; Scalingi, 2016).
Settima fase: In questa fase, il terapeuta informa il paziente che l’elaborazione potrebbe continuare che potrebbero affiorare pensieri, ricordi e sogni disturbanti (Shapiro, 1995, 2001). A tal proposito, l’autrice riconosce l’importanza di riportare in un diario i propri pensieri e sensazioni.
Ottava fase: Nella fase conclusiva del protocollo, il terapeuta mira a verificare la completa elaborazione del target e, in caso positivo, a rafforzare i risultati ottenuti nella seduta precedente (Scalingi, 2016, 27).
In conclusione, dopo una seduta di EMDR il paziente riporta generalmente una diminuzione dei sintomi disfunzionali accompagnata da un cambiamento di prospettiva verso il ricordo, verso se stesso, ma anche nelle relazioni sociali.
Art. a cura della dott.ssa Paola Centoni